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In una Palermo devastata da numerose epidemie di peste, tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, seguendo le indicazioni dei sanitari chiamati a gestire l'emergenza - primo fra tutti il Dott. Gian Filippo Ingrassia -, si vietò ogni adunanza, ogni celebrazione religiosa e, ancora, si stabilì che tutto ciò che era appartenuto a gente infetta venisse bruciato. Intere case vennero smantellate e dovunque per le vie erano roghi di letti, materassi, biancheria, nel caldo torrido dell'estate che avanzava e rendeva l'aria irrespirabile. Dappertutto si udivano i lamenti e i pianti di una popolazione che a fatica tentava di risollevarsi da una tale miseria. In questo clima, forse nell'anno 1604, venne alla luce Petru Fudduni. Non è stato semplice ricostruire la vita dell'umile spaccapietre: storia e leggenda spesso si confondono nel tramandare varie curiosità talora bizzarre che danno comunque l'idea dell'uomo sicuramente stravagante, ma fine, sottile e dal verso facile, sempre pronto a difendere con la sua poesia il popolo spesso denigrato, offeso e umiliato dall'alta aristocrazia al potere. L'autrice ci restituisce così proprio attraverso le rime a lui attribuite, e rintracciate nei testi di scrittori, letterati e studiosi delle tradizioni popolari e del folklore, l'esistenza di Petru, che senza i suoi stessi versi sarebbe passata nell'indifferenza generale risucchiata nel più totale oblio.